PERCORSI DI EDUCAZIONE CIVICA ATTRAVERSO LE CANZONI DI FABRIZIO DE ANDRÉ

 PERCORSI DI EDUCAZIONE CIVICA

ATTRAVERSO LE CANZONI DI FABRIZIO DE ANDRÉ

Lunedì 7 Aprile 2025 nell’Aula Magna del Liceo Scientifico di Ceccano si è svolto un incontro formativo che ha voluto omaggiare la musica e la poesia di uno tra i più grandi pensatori del XX secolo: Fabrizio De André.

L’idea, come tutte le cose più belle d’altronde, è nata casualmente dall’incontro di tre professori che condividevano questo amore incondizionato per l’estro artistico di De André. Parliamo dei Prof. Federico Palladini, Oreste Cerroni e Manuel Muzzone. Proprio quest’ultimo (supplente di Inglese), dichiarando di aver svolto due tesi universitarie sul cantautore e poeta genovese, ha suscitato l’interesse da parte degli altri due docenti e ne è venuta fuori un’idea per una attività didattica da svolgere quanto prima possibile.

L’evento si è basato sull’analisi di 7 canzoni, ognuna delle quali preceduta da una breve introduzione che spiegasse la poetica deandreiana nel brano, unite tutte da un filo conduttore che potrebbe riassumersi nell’amore verso il prossimo. I protagonisti del mondo di Fabrizio sono gli ultimi, le prostitute, i drogati, tutti coloro che per qualche motivo si sono ritrovati ai margini della società. Ma i protagonisti delle sue canzoni sono anche i giudici, i professori, i governanti, il potere in generale, questi ultimi spesso scherniti, proprio perché - a differenza degli ultimi - sono causa primaria di disequilibrio in senso lato.

I brani in questione in scaletta sono stati: Via del Campo, La Città Vecchia, La Canzone dell’Amore Perduto, La Guerra di Piero, Fiume Sand Creek, Tre Madri e Il Pescatore, per l’appunto tutti legati da un filo tematico coerente, ovvero quello di prendere una netta posizione nei confronti dell’amore per gli ultimi, e una contrapposizione invece nei confronti della guerra, del potere e di ogni angustia che l’essere umano ama menarsi l’uno contro l’altro.

 Si parte con Via del Campo e La Città Vecchia, entrambe accomunate da una profonda umanità nei confronti della vita ai margini della società ed entrambe ambientate nei bassifondi di Genova, senza dubbio tra i luoghi prediletti da De André, in netto contrasto con la Genova benestante e spesso ipocrita e perbenista alla quale, nonostante ne facesse parte, Faber preferì non appartenere. Entrambi i brani danno quindi voce a chi spesso viene ignorato o giudicato: le prostitute, gli emarginati, i perdenti. De André, con la sua tipica sensibilità, non descrive queste figure con pietismo, ma con rispetto e tenerezza. Il sentimento dominante è un’empatia che si mescola alla malinconia. C’è un amore sottile e struggente verso ciò che è fragile, sporco, eppure pieno di dignità. Ci invita a guardare oltre l’apparenza, a scoprire la bellezza nascosta anche, e soprattutto, “dove il sole del buon Dio non dà i suoi raggi”.

In Via del Campo l’amore non è idealizzato, ma vissuto nella sua forma più umana, imperfetta e vera possibile, di fatti, “dai diamanti non nasce niente, dal letame nascono i fiori”, oppure come ne’ La Città Vecchia, attraverso la figura del professore, che dovrebbe essere guida e coscienza critica e che qui invece è un uomo bloccato tra desideri repressi e convenzioni sociali. Fa finta di essere superiore, di non essere toccato dai bassi istinti, ma in realtà è solo un altro essere umano pieno di contraddizioni. De André lo guarda con ironia, ma anche con compassione: non lo condanna, lo svela.

Questa figura è centrale perché mette a nudo il tema della doppia morale: chi giudica gli altri spesso è il primo a nascondere i propri lati più fragili o contraddittori. Alla fine, anche il professore è parte integrante di quella città vecchia, umana e imperfetta, che De André celebra.

La terza è La Canzone dell’Amore Perduto, un inno dolce e malinconico sull’amore, il quale svanisce, ma che lascia dietro di sé un’impronta indelebile. De André racconta con delicatezza la fine di un amore, paragonandolo a un fiore che, una volta colto, perde il suo splendore. Tuttavia, la canzone non è un rimpianto sterile: è un invito a vivere l’amore pienamente, anche sapendo che potrebbe finire e che richiama un altro celebre passo della produzione poetica del cantautore:  “è stato meglio lasciarci che non esserci mai incontrati”. Il sentimento che attraversa il brano è la consapevolezza della fragilità dell’amore umano, ma anche della sua irripetibile bellezza. C’è dolore, certo, ma c’è anche gratitudine per ciò che è stato. De André sembra suggerire che amare, anche solo per un istante, valga sempre la pena, anche se porta con sé sofferenza. L’amore, secondo questa visione, non è qualcosa da trattenere o possedere, ma da vivere con intensità, accettandone i cambiamenti e, talvolta, la perdita.

l quarto e il quinto brano sono La Guerra di Piero e Fiume Sand Creek entrambe interamente contro la guerra. La prima descrive l’assurdità della guerra attraverso la storia di un soldato che è costretto a scegliere tra uccidere o morire. Il brano è pervaso da un senso di impotenza e tristezza: Piero esita, ha un momento di pietà, e proprio quell’umanità lo condanna alla morte.

Il sentimento dominante ancora una volta è la compassione, mescolata a una rabbia silenziosa per l’inutilità della violenza. De André ci mostra che, nella guerra, chi prova empatia e pietà è spesso destinato a soccombere. Ma nonostante questo, la canzone non è solo un lamento: è anche un invito a non rinunciare mai alla propria umanità, anche quando tutto intorno spinge alla brutalità.

Amare, essere fragili, avere paura: sono tutte emozioni che, in La Guerra di Piero, diventano atti di resistenza in un mondo disumano. Ecco perché, anche nella tragedia, l’amore per la vita e per l’altro non deve mai spegnersi.

Fiume Sand Creek affronta un’altra guerra, quella che riguarda il massacro dei nativi americani. Qui, il sentimento prevalente è una malinconia dolceamara, in cui lo sdegno si intreccia con la memoria. Il narratore bambino continua a “camminare nel vento” anche dopo la morte, come se la dignità e la speranza non potessero essere cancellate nemmeno dal sangue. È una visione poetica e spirituale della resistenza umana, anche di fronte alla più atroce delle violenze.

La canzone ci ricorda che il dolore va attraversato, che la memoria è necessaria, e che, persino nel momento più tragico, resta lo spazio per una forma di amore: verso la terra, le radici, e i propri simili. Un amore che resiste, nonostante tutto.

l penultimo brano è Tre Madri, a nostro parere una delle canzoni più struggenti, poetiche e liriche che De André abbia mai scritto. È ispirata alla tradizione sacra - dai Vangeli Apocrifi però - trasposta in chiave umana e terrena. Le protagoniste sono le madri di tre uomini crocifissi – tra cui la madre di Gesù – e ciascuna di loro esprime un dolore diverso, ma ugualmente lacerante, davanti alla perdita del figlio.

Il sentimento che attraversa il brano è un amore assoluto, viscerale, che si misura con il massimo dei dolori: quello di vedere morire un figlio. Eppure, questo amore non viene mai idealizzato. È un amore terreno, concreto, fatto di rabbia, smarrimento, rassegnazione. Le madri non sono sante, sono donne, madri vere, che piangono, che si chiedono il perché, che vorrebbero poter cambiare il destino dei propri figli. Ma proprio in questa umanità si nasconde la forza del brano: De André ci mostra che anche l’amore più doloroso, quello che si consuma nel lutto, ha una dignità immensa. È un amore che nonostante tutto non rinuncia a esistere. Anzi, è l’unico che resta, quando tutto il resto – fede, giustizia, speranza – sembra svanire.L’ultimo brano eseguito è Il Pescatore. Si narra dell’incontro tra un vecchio pescatore e un fuggitivo, presumibilmente un assassino. Il pescatore, anziché giudicare o denunciare, offre pane e vino all’uomo in fuga. È un gesto piccolo, ma profondamente umano e rivoluzionario.

Il sentimento che domina è la compassione disinteressata. De André ci propone una forma di amore che non fa domande, che non pesa i meriti o le colpe. Il pescatore incarna un amore universale, che si manifesta nella cura dell’altro, a prescindere da chi sia. Non c’è moralismo, solo accoglienza, carità incondizionata.

Il gesto del pescatore, apparentemente ingenuo, ha una forza straordinaria: mostra che si può amare senza capire, senza approvare, senza aspettarsi nulla in cambio. È l’espressione più pura dell’amore cristiano, ma privato di dogmi e riti. È un amore che non cerca di cambiare l’altro, ma semplicemente lo riconosce come essere umano.

Anche qui, come in molte canzoni di De André, il dolore, la colpa e la fragilità non annullano la possibilità di un gesto d’amore. Al contrario, è proprio in mezzo alla miseria e al peccato che l’amore autentico può emergere, silenzioso e rivoluzionario.

ttraverso tutte queste canzoni, abbiamo compreso dunque, ancora una volta, che ascoltare Fabrizio De André ci insegna che l’amore – nelle sue forme più umane, imperfette e persino dolorose – è ciò che ci rende vivi. Che sia l’amore che resiste nella perdita (Tre madri), quello che sopravvive alla fine (La canzone dell’amore perduto), o quello che nasce dove non ce lo aspetteremmo mai (Il pescatore, Via del Campo), ogni gesto d’amore è una piccola ribellione contro la durezza del mondo.

Certo, De André non ci parla di un amore perfetto, ma di un amore che inciampa, che si sporca, che soffre. Eppure, proprio in quella fragilità trova la sua verità. Le sue canzoni ci ricordano che l’amore non ha bisogno di essere eterno o ricambiato per avere senso: basta che sia autentico. Perché, anche se può farci soffrire, è l’unica cosa capace di dare un senso profondo alla nostra umanità.

E questo è un fondamentale insegnamento di educazione civica.

Prof. Manuel Muzzone

 

 

PERCORSI DI EDUCAZIONE CIVICA ATTRAVERSO DE ANDRE
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